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IL MIO CORPO FERITO

(2005)

Questo testo nasce da una suggestione: un processo celebrato nel 1578. Alla sbarra un gruppo di uomini, contadini per lo più, ma anche canonici e nobili, accusati di aver rapito la giovane Angela, di averla sottoposta a brutale violenza e di averla infine ceduta a messer Scipione che, entratone in possesso, ne sfrutta la bellezza per il proprio guadagno, fino al momento in cui il padre riuscirà a liberarla.Gli uomini sono alla sbarra. Angela è la loro accusatrice. Il suo racconto procede con fredda determinazione, ciò che ella dice è diretto, sferzante, non consente difesa, vanifica ogni tentativo di sottrarsi, di cercare un’assoluzione. Ma Angela è giovane, fragile, i ricordi di quei mesi passati nella mani, ruvide o delicate, di uomini che la spogliavano o la legavano ad un letto, lasciandola per giorni nella buia soffitta di un campanile, riemergono prepotenti e scalfiscono le certezze di cui Angela sembra essersi armata. Angela non ha altra arma che le sue parole. Quelle del presente, nell’aula del tribunale, sola contro i suoi carnefici, sono fatte di nomi, di date, di precise ricostruzioni, di testardo convincimento che non uno, di quelli che siedono al banco degli imputati, debba farla franca. Ma poi ci sono altre parole. Quelle del ricordo, appunto. Di un ricordo che penetra nelle viscere più profonde, che scende giù fino a farla piegare su se stessa per il dolore, per il fiato sporco e la saliva che ancora le impregnano la bocca, per quell’addome che si gonfiava ogni volta che uno di loro penetrava dentro di lei. Angela è assalita dalla rabbia, per quel Ferrante che aveva promesso al padre di sposarla e che ora è lì insieme agli altri, poi cede alla disperazione, per il curato che l’aveva rinchiusa quindici giorni e quindici notti, infine si scioglie in un’insolita tenerezza per quella Donna Lucrezia che, negli ultimi giorni della sua prigionia, l’aveva accudita come una madre. Il processo va avanti. Una donna contro il branco che l’ha tenuta in pugno per otto mesi. Il tempo, il luogo non contano. Nessun verdetto potrà mai essere risolutivo. Quello che resta è una donna sola, le sue parole dolenti, il suo corpo ferito. 

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